Phòbos and Deimos

presentazione a cura di Carolina Stefani 

 

Phòbos e Deimos”: gemelli nell’antica mitologia greca, tappe simbiotiche di questa mostra, facce della stessa medaglia. Figli di Ares, dio della guerra, e Afrodite, dea della bellezza, rappresentavano due diverse connotazioni della paura, mantenendo alla perfezione l’ambivalenza del concetto, in modo coerente con le loro origini genitoriali. Ciò che spaventa, infatti, simultaneamente suscita comprensibile avversione ed insospettabile fascino, dando così la possibilità a chiunque stia provando questo tipo di emozione di svolgere un’analisi introspettiva profonda ed insolita. Questo progetto fotografico quindi nasce con l’intento dell’autore di intraprendere, e far intraprendere, un viaggio interiore alla riscoperta degli angoli più reconditi e spesso ignorati di sé.

Il termine phòbos sta alla radice della parola contemporanea “fobia”, la quale, sebbene debba essere considerata in senso più restrittivo rispetto all’originale ètimo, indica un perfetto punto di partenza per iniziare ad osservare le opere del fotografo. Dal punto di vista psicopatologico, la fobia può essere considerata come una paura sproporzionata, che trascende il controllo volontario dell’individuo, il quale, nonostante sia consapevole del suo essere irragionevole, non può fare altro che “scappare” di fronte allo stimolo fobigeno. L’autore, con la sua composizione, sembra voglia impedirci di evitare i nostri timori ed al contrario ci spinge contro di essi, costringendoci ad uno scontro con i nostri demoni, le nostre angosce, creando uno scambio continuo tra fruitore e immagine.

Nella prima parte di questo racconto fotografico (Phobos), il giallo, in tutte le sue sfumature, fa da protagonista assoluto ed è interessante che sia stato proprio questo il colore immortalato dall’obiettivo, poiché simbolo per antonomasia di tutte le patologie psichiatriche nell’arte. Dapprima è presente sotto forma di flash, di impulsi, i quali pian piano prendono forza ed arrivano ad occupare quasi l’intero campo disponibile. La superficie, sebbene cromaticamente concorde, è lontana dall’essere “piatta”, in quanto la matericità viene espressa dai numerosi graffi e spaccature presenti, come se si stesse osservando uno specchio andato in frantumi. È così che uno sfondo etereo, che percettivamente richiama quasi il periodo dorato Klimtiano, si trasforma nella perfetta metafora per l’inganno dell’inaffidabile apparire umano.

Dopo aver raggiunto l’apice del suo potenziale estetico, il giallo comincia a scaldarsi e l’atmosfera si incupisce, lasciando spazio a grigi, bianchi e neri prorompenti. La composizione cromatica si fa più essenziale e le forme, in precedenza appena abbozzate, diventano simboli fondamentali del secondo punto cardine del viaggio: Deimos. Lo scontro, che prima era interiore e soggettivo, si sposta verso l’esterno, e la paura, inevitabilmente, vi si rivolge e riflette. Luci ed ombre si fanno concitate, dando vita a scenari dinamici e violenti, che richiamano l’orrore più grande ed esteso della dimensione collettiva: la guerra. È qui che le fotografie assumono la loro maggiore forza espressiva dove teschi, croci e deserti sono evidenziati da accenni di colore acceso, con il rosso in particolare che fa da padrone, indice ulteriore di sangue e fuoco.

La foto conclusiva raffigura in maniera definitiva lo spirito ambivalente che accompagna l’osservatore sin dall’inizio del viaggio: un’ambientazione desolata e malinconica, che allo stesso tempo si stacca dalle foto precedenti, lasciando quasi una sensazione di serenità e di speranza.

 

“Phòbos and Deimos” può essere considerato come proseguimento naturale di “Distopia”, precedente lavoro dell’artista, in quanto estrae dalla realtà immagini che descrivono panorami emotivi, fatti di preoccupazione e agonia, che inevitabilmente si creano davanti a “futuri incerti ed indesiderabili”, siano essi soggettivi o comuni.